pare poi che ciò che impariamo attraverso una tradizione orale si distingua da quello che impariamo per iscritto. (questo per dire quanto la lingua delle canzoni sia diversa da quella dei libri o ancora soltanto da quella delle chiacchere di ogni giorno). eppure certe frasi, certi concetti che impariamo ascoltando le parole di qualcuno o il canto di qualcun altro sono così remotamente incomprensibili al nostro pensiero fatto di lettere e grammatiche. che si ha quasi l'impressione che le idee passateci per via orale rincorrano le loro sorelle per gli snodi della mente, ne percepiscano la presenza, anelino ad un produttivo e procace ricongiungimento. le cose che impariamo per orecchio e maneggiano per bocca non vanno a finire su quelle pagine imbrattate di segni che danzano di fronte ai nostri occhi quando sovrappensiero mesmerizziamo il vuoto. le parole, il loro suono. le parole ed il loro suono se ne stanno in circoli gioiosi di turbinio combinatorio. ballettano e scombinano. rimano e pedinano. l'un l'altra a braccetto.
le parole che ci arrivano da una pagina scritta son tutt'altra faccenda. precise e distinte. irregimentate da norme di battitura e stili di stampa. parole che maneggiano il pensiero in guanti bianchi: per consegnarcelo in purezza; e stanare le manchevolezze scioglievoli di un intelletto pingue e sonnecchioso.
gentile è il sonno di chi ascolta le due voci del senso. poi, con audacia, compone in sordità.
sorrisi,
michael
ps. pane tostato, tahina, miele, banana a fette sottili. tutta un'altra storia.
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